UMAR
un cortometraggio di Francesco Cibati
Umar, 24 anni, arriva a Trieste dal Pakistan dopo un lungo e terribile viaggio a piedi. Ha visto morire il suo migliore amico, è stato torturato dalla polizia croata, ha rischiato di perdere la gamba e infine si è salvato. Oggi, grazie a Linea d’Ombra, un’associazione che accoglie i migranti in arrivo dalla Rotta Balcanica, Umar si sente di nuovo a casa.
Anno: 2021
Durata: 15′
Luogo: Trieste, Italia
Lingua: Urdu, Italiano, Inglese
Sottotitoli: Italiano, English, Español
Produzione: Raw Sight
Selezioni: Lavori in Corto Film Festival – Menzione Speciale; Berlin Indie Film Festival – Best First Time Director; Vesuvius International Film Festival – Official Selection;
Regia: Francesco Cibati
Autori: Francesco Cibati, Marco Bergonzi, Michael Petrolini
Fotografia e operatore camera: Marco Bergonzi
Editing: Michael Petrolini
Audio: Alberto Marras
Color: Marco Bergonzi
Mediazione Culturale: Raheem Ullah e Shabana, Ismail Swati
Anno: 2021
Durata: 15′
Luogo: Trieste
Lingua: Urdu, Italiano, Inglese
Sottotitoli: Italiano, English, Español
Produzione: Raw Sight srl
Selezioni: Lavori in Corto Film Festival – Menzione Speciale; Berlin Indie Film Festival – Best First Time Director; Vesuvius International Film Festival – Official Selection;
Regia: Francesco Cibati
Autori: Francesco Cibati, Marco Bergonzi, Michael Petrolini
Fotografia e operatore camera: Marco Bergonzi
Editing: Michael Petrolini
Audio: Alberto Marras
Color: Marco Bergonzi
Mediazione Culturale: Raheem Ullah e Shabana, Ismail Swati
La storia di Umar è nota tra chi segue la Rotta Balcanica, così come Lorena Fornasir, Gian Andrea Franchi e Linea d’Ombra. Umar è stato raccontato molte volte, dai media e dalla televisione italiana, spagnola, belga e olandese. Compare in innumerevoli articoli e reportage.
C’è un però: Umar è stato sempre raccontato in quanto oggetto di violenza, tragico archetipo del migrante che, per fortuna, è riuscito a salvarsi. Mancava una narrazione che fosse sua, per dare giustizia alla persona che è adesso piuttosto che alle violenze subite.
Frequentando spesso Umar gli ho proposto il progetto e l’idea l’ha entusiasmato. Abbiamo deciso di dare spazio alla sua normalissima quotidianità, osservandolo per circa due giorni in casa e in piazza. Abbiamo sviluppato insieme quella che nel montaggio finale è la voce narrante: Umar che racconta la sua storia, in un lavoro che ritengo importante, seppure assistito, di autodeterminazione.
Umar non cerca di passare allo spettatore una informazione formale, numerica. Grazie all’osservazione paziente, si conosce Umar su un piano più intimo ed empatico. Il momento della preghiera, lo studio dell’italiano, la cura di sé, vedere Umar impacciato che non riesce ad aprire la porta di casa (simbolismo imprevisto) sono tutti dettagli necessari a dipingere il suo presente e i suoi desideri, al netto della violenza che il suo corpo testimonia.